sabato 19 giugno 2010

Giornata dei rifugiati: storia di un ragazzo afghano in Italia

Enaiatollah è arrivato nel nostro Paese cinque anni fa, dopo averne trascorsi altrettanti in fuga.

Se gli si chiede quanti anni ha, sorridendo risponde di non saperlo, perchè non ricorda da quando cominciare a contarli. Adesso per la legge italiana, che gli ha concesso documenti e una famiglia affidataria, ne ha 21. Ne dimostra anche di meno, ma la sua storia, così ingombrante, lo porta ad avere le idee chiare: “L’Italia è la mia fortuna“.

BUROCRAZIA ASSASSINA - Ma ha anche parole ben affilate: “Noi infrangiamo le regole perchè siamo clandestini, ma l’Italia è assassina perchè quando arriviamo dopo giorni di viaggio sotto a un camion, senza mangiare, stiamo morendo ma loro vorrebbero mandarci via”, dice poco prima di raccontare la sua storia a un incontro organizzato dall’Unhcr per la Giornata Mondiale del Rifugiato. Poi chiarisce, ce l’ha con la burocrazia che rende tutto difficile, non con le persone, perchè, anzi, l’Italia è tutto quello che vuole: “La mia casa“.

DA CLANDESTINO SEI COME UN LADRO - Il suo viaggio è cominciato in Afghanistan, quando era un bambino di 10 anni. La madre lo aveva mandato in Pakistan in un “tragico atto d’amore” perchè nel paese dove vivevano il ragazzo era considerato il risarcimento per un carico andato disperso nell’incidente nel quale il padre era rimasto ammazzato. Si è fermato “in Iran, in Turchia, in Grecia“, elenca. “In ognuno di questi Paesi sarei rimasto, ma purtroppo non dipendeva da me. Non avevo documenti, non potevo neanche curarmi e quindi ero sempre obbligato a spostarmi”. Entrare in un Paese da clandestino, dice per averlo sperimentato, “è come entrare in una casa come un ladro: se il proprietario ti vede ti spara“.

NEL MARE CI SONO I COCCODRILLI - Quando con i suoi compagni di viaggio è arrivato in Grecia sperava di rimanere. “Ho pensato che la mia vita sarebbe stata migliore: ero in Europa. Ma gli altri mi dicevano questo è solo un corridoio dell’Europa”. Ha dormito per giorni in un parco, poi si è imbarcato di nuovo: “sono salito su una nave senza sapere dove stava andando. Poi dopo due ore ho scoperto che ero in Italia. Per fortuna”. La sua fortuna è stata avere imparato l’italiano, essere in affidamento presso un famiglia, con un “fratello” di 16 anni, italiano. Ora Enaiatollah studia alla scuola serale, lavora come mediatore e assiste un disabile. La sua odissea è finita in un libro, “Nel mare ci sono i coccodrilli”, scritto con Fabio Geda a Torino, la sua nuova casa.

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