domenica 29 agosto 2010

Condor, pitoni, orsi e antilopi Il business degli animali esotici


Fonte: Repubblica.it
Padre Fedele riuscì a portare un cercopiteco nella curva del Cosenza. In mezzo agli ultras. Rosso e blu come la squadra del cuore e con il muso bianco, sfumatura che al religioso non interessava. Padre Fedele Bisceglia missionario in Congo prelevò dai bacini della foresta tropicale la scimmia, la sistemò in una scatola degli attrezzi, saltò la dogana francese in partenza, la dogana italiana allo sbarco, e la domenica mostrò il cercopiteco agli amici del Cosenza calcio. Il suo trofeo. Si prese, rapido, una denuncia per “detenzione illegale di specie protetta” dal Corpo forestale.
Padre Fedele è un’icona dell’italiano all’estero, in viaggio in terre esotiche. Curioso, preleva animali, depreda habitat. L’Italia, lo hanno appurato report internazionali di autorità statali e organizzazioni non governative, è uno snodo decisivo del traffico di animali esotici, rari, in via d’estinzione: tre milioni di “parti morte” importate (pelli di pitone, denti di caimano e di squalo), duemila sequestri di animali vivi l’anno, 1.536 reati contestati, cinque arresti. Il giro d’affari del brand “animale esotico” arriva a due miliardi l’anno ed è “in crescita esponenziale”, spiega Massimiliano Rocco, direttore dell’ufficio “Traffic” del Wwf.
Perché l’Italia è considerata, da tempo, un paese centrale del “commercio selvaggio”? E come si è formata questa cultura predatoria? L’archivio estemporaneo del Cites di Roma, acronimo che nel mondo segnala l’istituto che cura le specie protette e da noi s’incardina nel Corpo forestale di Stato, segnala che dall’Italia partono i più importanti serial killer di leopardi e orsi bianchi, i collezionisti di pappagalli dai colori abbacinanti e tartarughe protette. È da noi che si sono formati alcuni fra i più conosciuti raider di safari: Giorgio Barbero, oggi 81 anni, imprenditore vinicolo nato a Cuneo e residente nel Torinese, ha pubblicato un libro di 576 pagine pieno di foto per documentare gli ottanta safari organizzati nel mondo, tutti illegali. In trent’anni, illustrano i suoi video, non ha quasi mai sparato: gli bastava raggiungere il giorno dopo i sherpa assoldati per farsi fotografare con le corna ritorte strappate al Bos Gaur, bovino indiano che sarebbe intoccabile. Il libro di Barbero, “I miei sentieri“, e l’incredibile museo di fiere impagliate che l’uomo in trent’anni ha organizzato sul Lago della Spina di Pralormo, sono diventate un atto di accusa schiacciante per la sua condanna (in Cassazione) per traffico di specie protette. Diecimila euro di ammenda e via, finché regge l’età, verso un altro raid predatorio.

La Convenzione di Washington. Dal 1975 la Convenzione di Washington definisce le mille specie animali “totalmente protette” e le 36mila che si possono muovere – vive o morte, intere o a pezzi – solo con un certificato allegato e in quote definite. L’Italia ha aderito alla Convenzione quattro anni dopo, ma l’ha trasformata in una legge nazionale solo nel 1992. Il “Wild life trade“, il commercio del selvaggio, nel mondo vale 125 miliardi di euro l’anno (corrisponde agli investimenti in tecnologia pulita preventivati per i prossimi sette anni, per capire, e non è lontano dai fatturati del narcotraffico). Bene, secondo gli uffici Cites di Ginevra altri 35 miliardi sono frutto di esportazioni illegali, proibite, che mettono a rischio la sopravvivenza di specie intere.
I due mercati del “wild life” – emerso e sommerso – viaggiano insieme e si fondono con altri due settori primari del commercio internazionale: le transazioni del legname e quello di farmaci e parafarmaci (spesso estratti da piante rare e intoccabili). Anche qui il nostro paese è motore, legale e illegale.
Emerso e sommerso. L’Italia è il primo acquirente al mondo di pelli di rettile (diventeranno borse di Gucci, Versace, Prada) e il monopolista dell’importazione delle lane sudamericane (il 96% arriva nei nostri scali). Gli stilisti italiani importano le quote loro concesse con certificati allegati a ogni pelle di serpente. Ma l’ultima inchiesta del Corpo Forestale ha segnalato alle procure un raider senegalese pronto a spedire in pacchi postali 2.500 pelli illegali di pitoni delle rocce e varani del Nilo. Imbustati a Dakar, approdati nel centro di smistamento di Lonate Pozzolo, nel Milanese, venivano ritirati da immigrati ignari del contenuto e quindi portati dall’intermediario, un vero e proprio venditore all’ingrosso di frodo, alle grandi aziende di conceria di Prato e del Bolognese, produttori, loro, per conto dei grandi stilisti. Nel viaggio da Dakar all’atelier di via Montenapoleone il valore del “pezzo” si era centuplicato: quel sequestrò giudiziario ha messo in fila tre chilometri di pelle abusivamente importata. Dicevamo le lane, merce decisiva per i bilanci dell’import nazionale. Anche lì, parallelamente al business codificato, viaggia il proibito. Un grande produttore del Nord-Ovest, leader mondiale, ha avuto uno stock di “scialli dello scià” confiscato perché, si scoprì, quella lana era stata sfilata ad antilopi tibetane in via d’estinzione.
Qual è il rapporto fra i traffici di animali morti e i viaggi delle specie protette ancora vive? Anche qui c’è una commistione tra affari legali e affari di frodo? Lo schema è consolidato: all’interno dei grandi commerci si insidia una quota – consistente – di business abusivo fatto, perlopiù, di pelli, zanne d’avorio, coralli.
Macachi come souvenir. Laterale a questo, ancora, è cresciuto un florido mercato di animali vivi che dalle modalità distruttive degli anni Ottanta-Novanta, il turismo estivo che tornava con macachi come souvenir, è passato al saccheggio calibrato dei collezionisti e dei commercianti istruiti che spesso preferiscono prelevare uova non schiuse. Il nostro paese, ponte per i traffici delle specie che dall’Africa salgono in Nord-Europa, è diventato la base mondiale per il commercio dei rapaci sudamericani. Nel 2005 con l’”operazione Condor“, la più importante sugli animali protetti fin qui condotta dalle nostre polizie, i sovrintendenti del Corpo forestale Marco Fiori e Ivan Severoni intercettarono un carico di uova al porto di Ancona e risalirono a un cittadino austriaco che aveva trasformato un hangar abbandonato nell’entroterra di Brindisi in un ranch per la ricezione di avvoltoi e aquile andine. Ne trovarono duecentocinquanta. Nell’hangar l’austriaco cambiava la storia anagrafica degli animali e, con la complicità di funzionari tedeschi, ne avviava coppie in tutta Europa. Due vennero acquistati, intorno ai 30 mila euro, dal deltaplanista dei record Angelo D’Arrigo: amava volare con i rapaci sopra la testa.
Gli interessi delle mafie. Mafie internazionali, nel Sud-Est asiatico e in Sudamerica soprattutto, aprono nuove rotte e offrono logistica al commercio selvaggio. Anche in Italia ci sono stati incroci tra la passione dei collezionisti senza scrupoli e la camorra. Riscontri investigativi e alcune intercettazioni telefoniche datate – le uniche fin qui concesse, all’inizio dei Novanta – ci dicono che, spesso, pappagalli amazzonici e i pericolosi pitoni reticolati viaggiano nei sottofondi di casse che già occultano stupefacenti. La criminalità organizzata controlla, per esempio, la vendita sui mercati della Campania delle tartarughe fatte arrivare dal Nilo e dal Nordafrica. E se Fabrizio De Andrè nel “Don Raffaè” ispirato dal boss Cutolo raccontava di un assessore, “Dio lo perdoni”, che nella roulotte teneva i visoni, è letteratura acclarata quella della bestia rara usata dai capi della malavita per status symbol: pitoni moluro, storia di mezzo agosto, sono stati messi a guardia di pani di eroina. Un coccodrillo di due metri ha vissuto in semilibertà nel giardino di uno spacciatore, allocato sopra una scuola elementare di Napoli. Poi ci sono le due tigri di Francesco “Sandokan” Schiavone, storico capo dei casalesi.
Il titolare di un pub di Catania, per attirare clientela, aveva ospitato fra i tavoli un coccodrillo nano, iguane esotiche, scorpioni, tarantole, poi due gechi e una rana. Due cincillà sudamericani li aveva chiusi in una teca di vetro a forma di bara, sulla quale venivano serviti i cheeseburger. Le guardie zoofile dell’Ente nazionale per la protezione degli animali hanno fermato il macabro zoo fast food. A Quarto Oggiaro la testa di un pitone reale si è affacciata dal water di un bagno, e questa è notizia di inizio estate. In una casa di Brunico sono stati allevati per anni, nell’illegalità più temeraria, 400 ragni velenosi. Non è servito il sequestro della stagione 2003 all’aeroporto di Malpensa: la dogana aveva intercettato un carico di scorpioni per collezionisti, tra loro c’era l’Androctonus Australis, il cui veleno è più potente di quello di un cobra. La scoperta stimolò la rapida approvazione di una legge che avrebbe dovuto vietare la detenzione di animali pericolosi, ma sette anni dopo sui forum dei principali siti di aracnofilia si offrono a dieci euro l’uno la “Cyclosternum fasciatum”, grosso ragno dell’America centrale dai peli urticanti, la Poecilotheria Regalis, “tarantola ornamentale indiana”, e la Pterinochilus murinus, “imprevedibile, veloce, aggressiva e con un veleno da non sottovalutare”. Il 70% delle inserzioni di animali, in rete, riguarda il commercio di animali rari e un sito francese segnala ai cacciatori quali sono le specie appena riscoperte dagli scienziati, e quindi più gustose da far fuori. La Società italiana veterinari animali esotici, poi, stima che in Italia ci siano dodicimila possessori di ragni. Chi li rifornisce? E perché da noi mancano i controlli? Giovanni Guadagna, responsabile dell’ufficio cattività dell’Enpa, segnala: “Alcuni collezionisti e organizzatori di mostre dove si è potuto vendere aracnidi poi sequestrati sono stati chiamati come membri della commissione ministeriale che avrebbe dovuto stilare l’elenco degli animali pericolosi”.
Tartarughe in valigia. All’aeroporto di Fiumicino hanno fermato scimmie morte assiderate provenienti dalla Nigeria: se la stiva non è climatizzata, in volo si va a 50 gradi sotto zero. Poi 277 tartarughine del Nilo stipate in una valigia rosa fucsia, questo era bagaglio a mano. I pappagalli amazzonici la Finanza aeroportuale li scopre perché partono addormentati a forza e arrivano, dopo 12 ore e un paio di scali, svegli e rumorosi. Un funzionario del consolato italiano in Congo, forte della sua incontrollabile valigetta diplomatica, per anni ha importato rapaci a Roma, aquile, falchi, nibbi, mischiandoli a tappeti e pietre preziose. Quando l’hanno fermato ha protestato: “A Brazzaville li compravo per pochi dollari“. È stato denunciato anche per maltrattamento. E in questi giorni, in tre regioni diverse, sono state segnalate “tartarughe azzannatrici” in libertà. Fanno male, e sarebbero protette.
L’ultima inchiesta del Corpo Forestale è nata da venti fotografie che ormai hanno fatto il giro di Internet: un obitorio italiano di animali esotici. Antilopi e cuccioli di zebra accatastati, macellati. Pance sfondate, grossi uccelli decapitati. Nel mucchio macabro c’è uno scimpanzè. Un sacco di farinacei arriva dalla provincia di Reggio Emilia, un altro di fertilizzanti dal Casertano. Quelle carcasse potrebbero essere “avanzi” di uno zoo in difficoltà, animali esotici ammalati e quindi abbattuti. Le indagini sono in corso. “Per capire la mentalità di un predatore italiano“, ancora gli investigatori del Corpo forestale, “basta dire che il nostro raider da safari cerca l’illegalità, la pretende. In Alaska è possibile cacciare gli orsi bianchi, in Siberia è vietato. L’Interpol ci ha appena comunicato l’uccisione di due orsi bianchi in Siberia: sono stati due italiani“.

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