lunedì 27 dicembre 2010

Haidar Eid: Gaza, 2 anni dopo l'orrore


Questa settimana ricorre il secondo anniversario dal giorno in cui l’orrore si abbattè sulla popolazione della Striscia di Gaza, il 27 Dicembre 2008. E da allora non è cambiato nulla. Gaza è tornata al suo stato di assedio pre-invasione, di fronte alla solita indifferenza internazionale. Due anni dopo l'attacco israeliano, che durò 22 lunghi giorni e oscure notti, durante i quali la sua coraggiosa popolazione fu lasciata da sola ad affrontare uno dei più forti eserciti del mondo, Gaza non fa più notizia. La sua gente muore lentamente, i suoi bambini sono malnutriti, l’acqua è contaminata e, nonostante ciò, non si merita nemmeno una parola di compassione da parte del Presidente degli Stati Uniti e dei leader europei.
Il processo di disumanizzazione dei palestinesi di Gaza non accenna a fermarsi. Ma ora il problema più urgente è riuscire a porre Israele di fronte alle sue responsabilità sia nei confronti del diritto internazionale, che dei principi fondamentali dei diritti umani, e prevenire così un'ulteriore escalation.
Un modo per cominciare ad inchiodare Israele alle sue responsabilità è attraverso la testimonianza diretta e la solidarietà della società civile. Il 27 dicembre, ad esempio, un convoglio di aiuti asiatico, composto da politici e attivisti provenienti da 18 paesi, arriverà a Gaza nel tentativo di rompere l'assedio imposto da Israele da quattro anni e di ricordare al mondo quali siano le crudeli conseguenze dell'assedio e del massacro. E questo è uno tra i più notevoli impegni internazionali guidati da organizzazioni della società civile, che hanno deciso di agire direttamente di fronte al misero fallimento della comunità internazionale. Alcuni di questi attivisti hanno sperimentato sulla propria pelle cosa significhi mostrare vera solidarietà con i palestinesi di Gaza, quando nove attivisti turchi sono stati brutalmente assassinati nella piena luce del giorno sulla nave Mavi Marmara.
Mentre saranno a Gaza, gli attivisti del convoglio avranno senza dubbio la possibilità di ascoltare storie da far gelare il sangue. Durante il massacro, un soldato israeliano commentò così: "Il bello di Gaza è questo: vedi una persona per la strada, la vedi camminare a piedi lungo un sentiero. E non è necessario che abbia un’arma con sé, né è necessario fare accertamenti sulla sua identità, puoi spararle e basta”.

Israele non avrebbe potuto compiere la sua brutale aggressione, preceduta e seguita da un assedio punitivo, senza il “via libera” da parte di tutte le potenze mondiali. Quando Israele attaccò Gaza a febbraio/marzo 2008, Matan Vilnai, l’allora vice ministro della difesa (un termine decisamente improprio per un rappresentante di una potenza aggressiva e occupante), minacciò che sarebbe stato compiuto un massacro ancora peggiore della Shoa (Olocausto). E 102 palestinesi, tra cui 21 bambini, furono uccisi.
E quale fu la reazione della comunità internazionale? Assolutamente nulla di sostanziale. Al contrario, l'UE decise di premiare l'aggressore con il rinnovo dei suoi accordi commerciali con Israele. Questo rinnovo siglato ai primi di dicembre 2008 diede il via libera ad un massacro ancora peggiore nel 2009 durante il quale a Gaza vennero uccisi oltre 1.400 palestinesi, la maggior parte dei quali civili. E ora, nonostante i conclamati crimini di guerra israeliani, sia gli Stati Uniti che l'UE continueranno a rafforzare i loro legami con Israele.
La similitudine tra la violenta campagna israeliana di dominio con quella del regime dell'apartheid sudafricano, è stata recentemente analizzata dal combattente anti-apartheid per la libertà ed ex ministro del governo sud-africano Ronnie Kasrils: "Non è difficile per chiunque conosca la storia coloniale riuscire a comprendere il modo in cui l’odio razziale deliberatamente coltivato riesca a creare una giustificazione anche per le azioni più atroci e disumane commesse contro civili inermi – compresi donne, bambini e anziani".

Il regime di apartheid del Sud Africa fu tenuto sotto pressione attraverso le risoluzioni a cui il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite lo condannava ripetutamente per il trattamento disumano della popolazione nera. E questo fu di grande sollievo per tutti gli oppressi da quel regime, mentre noi palestinesi, oggi, siamo privati anche di questo piccolo conforto, perché gli Stati Uniti continuano a utilizzare il loro diritto di veto per garantire ad Israele l’impunità.
Oggi in Palestina sta crescendo sempre più un movimento di dissenso partecipato dalla società civile, esattamente come accadeva durante il regime di apartheid in Sud Africa. Ma un movimento di solidarietà internazionale più forte, con un programma comune, potrebbe aiutare la lotta palestinese e farla conoscere e risuonare in ogni paese del mondo. Il nostro obiettivo ora, come organizzazioni della società civile, è quello di riuscire ad eliminare l'assedio che strozza Gaza. E per riuscirci molti attivisti, palestinesi e internazionali, hanno lanciato una campagna di boicottaggio ispirata al modello della campagna anti-apartheid sud africana. Questa campagna è un movimento democratico basato sulla lotta per i diritti umani e l'attuazione del diritto internazionale. La nostra lotta non è religiosa, etnica, razziale, ma piuttosto universalista, è una lotta che vuole garantire l'umanizzazione del nostro popolo di fronte alla terribile macchina guerra israeliana.
L’Arcivescovo del Sud Africa Desmond Tutu, un convinto sostenitore dei diritti dei palestinesi, ha detto: "Scegliere di essere neutrali di fronte a situazioni di ingiustizia, significa scegliere la parte dell'oppressore." Mentre le forze armate israeliane bombardavano il mio quartiere, l'ONU, l’UE, la Lega Araba e la comunità internazionale rimanevano in silenzio di fronte alle atrocità. Nemmeno centinaia di cadaveri di donne e bambini riuscirono a convincerli ad intervenire.
Il massacro di Gaza del 2009, come quello di Sharpeville nel 1960, non può essere ignorato. Esige una risposta da tutti coloro che credono nell’esistenza di una comune umanità. Nelson Mandela ha indicato la strada per questa umanità condivisa quando anni fa ha affermato: "Ma noi sappiamo troppo bene che la nostra libertà è incompleta senza la libertà dei palestinesi ".
 
Ora è il momento di boicottare lo stato di apartheid israeliano, disinvestire dalla sua economia e imporre sanzioni contro di esso. Questo è l'unico modo per garantire la creazione di uno stato laico, democratico nella Palestina storica per tutti i suoi abitanti, indipendentemente da razza, credo o etnia.

Di Haidar Eid

L'articolo in originale suhttp://www.intifada-palestine.com


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